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Szpilman Wladyslaw
Il pianista
288 p., Lit. 28000
Baldini e Castoldi, ISBN: 88-8089-624-5
(data di pubblicazione: Aprile 1999)
Pleyel Paris 2008
SONY Classical Europe
SONY Classical
Premiere: 30.9.2005
3 CD´s:
Solo: Chopin, Alfred Grünfeld, Debussy, Ignaz Friedman, Szpilman, Prokofjew 7th Sonata, Bacewicz, Sonata Nr. 2 (1st publication of the world premiere in 1953)
Violin & Piano with Bronislaw Gimpel: Beethoven "Spring", Grieg op.45, Rathaus "Pastorale and Dance" (1st publication of the world premiere recording in 1963) and small works by Schubert, Dvorak, Wieniawski, Bloch, Prokofiew
The Warsaw Piano Quintet: Piano quintets by Robert Schumann and Juliusz Zarebski (1st publication world premiere recording 1963)
Krzysztof Penderecki
on Saturday, 12.08.2006, Berlin at 8 p.m.
Konzerthaus Berlin am Gendarmenmarkt
L´Espresso 16.05.2002
L'ultimo Polanski
Dimenticare Schindler
È l'evento più atteso a Cannes. Forse il capolavoro del regista polacco Roman Polanski. Storia di un ebreo salvato da un nazista. Tutta in chiave anti-Hollywood
Chi salva un'anima è come se avesse salvato l'intero universo: è scritto nel Talmud. Correva il 1944, e a Varsavia un ufficiale tedesco, capitano della Wehrmacht, aveva salvato la vita di un musicista ebreo. Finita la guerra, il musicista è diventato famoso. Ha composto centinaia di canzoni che sono state la colonna sonora della Polonia dagli anni '40 ai '60. Ebbe numerosi premi, ma non è riuscito a salvare, a sua volta, la vita dell'ufficiale tedesco, e nemmeno, fino a poco tempo fa, a raccontare la sua storia.
Ora, il famoso regista Roman Polanski, anch'egli ebreo polacco, nato nel 1933 e scampato alla Shoah (era bambino nel ghetto di Cracovia, la madre morì in un lager, il padre si salvò), ha tratto un film dalla storia del musicista di Varsavia e del capitano della Wehrmacht. Si intitola "Il Pianista", come il libro del protagonista di questa vicenda Wladyslaw Szpilman, scomparso due anni fa, all'età di 89 anni. Il libro ebbe un grande successo a metà degli anni Novanta, soprattutto in Germania, Stati Uniti e ovviamente in Polonia. In Italia è stato pubblicato da Baldini & Castoldi.
Polanski, che conosceva personalmente Szpilman, senza aver saputo mai niente della storia della sua salvezza, lo ha letto e ne è rimasto così impressionato da trasformarlo in una sua opera. Probabilmente la più importante. "Il Pianista" è ora il film più atteso al Festival di Cannes. Un film che fin dalla sua ideazione e attraverso la scelta degli attori e dei finanziatori sembra l'opposto di "Schindler's List", il classico hollywoodiano di Steven Spielberg sull'Olocausto.
L'opera di Spielberg è corale, a volte ridondante, con romantiche storie d'amore intrecciate in una trama della lotta del Bene contro il Male. E vi recitano attori famosi. Polanski invece ha tessuto una storia, per modo di dire "minore". Piena di profonda introspezione psicologica, di un uomo solo che ha perso tutto e che disperatamente cerca di sopravvivere alla barbarie scatenata dai nazisti. E che spesso è sull'orlo di cedere, perché contrariamente ai personaggi di Spielberg (e del cinema americano) ha solo domande e nessuna certezza. Non c'è happy end: il suo salvatore muore di stenti in un Gulag sovietico, a Stalingrado. Polanski non ha voluto attori famosi. Il budget, 38 milioni di euro, non è faraonico. Il tutto è stato girato tra Polonia e Germania.
Wladyslaw Szpilman, dunque, nasce a Sosnowiec, una cittadina di meno di 100 mila abitanti nella Polonia sud-occidentale. Il padre è violinista. Fin da piccolo, vive in un mondo di musica. Verso la fine della sua vita racconterà che poiché non avevano soldi per comprare un apparecchio radio, le opere dei grandi compositori, da Chopin a Brahms, le leggeva sugli spartiti. In ogni caso, la famiglia riesce a mandare il ragazzo a studiare a Berlino. Ma nel '33, Hitler arriva al potere, e il giovane pianista torna a casa. Con i genitori, il fratello (pure lui musicista) e la sorella si trasferiscono a Varsavia. Nella capitale polacca è assunto come pianista a Radio Warszawa (Radio Varsavia). Quando l'1 settembre 1939 scoppia la guerra, Szpilman, svegliato dal rumore delle bombe tedesche, si precipita alla radio. Suona, in diretta (come era l'uso a quei tempi) musica di Chopin, compositore romantico, considerato dai polacchi simbolo della loro identità. Suonerà Chopin, "Ballata in La bemolle Carcolle", anche il 23 settembre, pochi minuti prima della resa di Varsavia ai nazisti. Quel concerto rimarrà per i polacchi l'ultimo ricordo sonoro della loro indipendenza.
Seguono mesi di occupazione. Agli ebrei è imposto l'obbligo di indossare una fascia con la stella di David colore azzurro, qualcuno di loro è pestato dai nazisti in strada. Si procede alla confisca dei beni degli ebrei. Ma niente di drammatico. Niente che possa presagire l'annientamento totale. Poi, nel 1940, è istituito il ghetto: mezzo milione di persone ammassate in pochissimi chilometri quadrati. Regnano fame e malattie. Nonostante tutto, continua la vita. Nel ghetto ci sono teatri, scuole clandestine, si tengono concerti. E molti artisti sopravvivono recitando e suonando nei caffè frequentati da quei pochi che ancora hanno qualche lira da spendere. Szpilman suona il piano in uno di questi caffè. Nel luglio 1942 i tedeschi decidono di farla finita con gli ebrei di Varsavia. È il rastrellamento. La famiglia Szpilman è portata a Umschlagplatz, la piazza da cui partono i treni per le camere a gas di Treblinka. Ma ecco, il primo miracolo, un poliziotto ebreo, che lo conosce come musicista di talento, estrae Wladyslaw dalla folla. Gli salva la vita. Il padre, la madre, il fratello, la sorella salgono nel carro bestiame che li porta verso la morte.
Szpilman viene arruolato come operaio edile. Sa che finita la costruzione dell'edificio, gli ebrei che vi lavorano saranno ammazzati. Scappa. E qui comincia la sua Odissea nella parte ariana della città. Lo aiutano amici e conoscenti, «almeno venti persone», preciserà più tardi. Conosce la fame, e la descrive con un distacco da osservatore esterno. Vede da fuori l'insurrezione del ghetto, nell'aprile 1943. Nell'agosto 1944, mentre le truppe sovietiche stazionano alle porte di Varsavia, scoppia la rivolta dell'intera città. Repressa dai tedeschi, che radono al suolo la capitale polacca, mentre i russi stanno a guardare. A settembre la città è evacuata. Tra le rovine rimangono solo ebrei, che hanno paura di andare nei campi d'internamento insieme ai concittadini ariani. Così un giorno, nascosto tra le macerie, Szpilman si imbatte nel capitano Wilm Hosenfeld. L'ufficiale tedesco dice di provare vergogna per Hitler. Poi, trova un pianoforte in un appartamento diroccato. Fa suonare Szpilman. Gli porta vestiti, cibo, soldi. Szpilman, promette di aiutarlo, se ce ne fosse bisogno, dopo la guerra.
Nel 1946 il pianista scrive il suo libro di memorie. Alle autorità comuniste non piace. Troppo lo spazio per il ricordo dell'Olocausto. La dottrina vigente che vede gli ebrei come parte della "fratellanza dei popoli antifascisti", nega l'unicità della Shoah. E non piace neanche il tedesco buono. Così il libro cade in oblio, e Szpilman si dà alle canzoni. Lo rintraccia la famiglia del capitano Hosenfeld. L'ufficiale è prigioniero dei sovietici. Szpilman arriva dai capi del regime in Polonia. Perora la causa del suo salvatore. Invano. Hosenfeld muore sotto tortura. I russi si accaniscono contro di lui con particolare veemenza, perché è oltraggioso che un tedesco racconti di aver salvato un ebreo a Varsavia.
Il 23 settembre 1939 Wladyslaw Szpilman suonò il Notturno in C diesis minore di Chopin per la radio di Varsavia, mentre le bombe tedesche cadevano sulla città e il rumore era così forte da impedirgli di udire il suono del suo stesso piano. Fu l'ultima trasmissione dal vivo in onda a Varsavia: più tardi, quello stesso giorno, un ordigno tedesco distrusse la centrale elettrica e la stazione radio polacca fu ridotta al silenzio. La vita del pianista fu salvata da un ufficiale tedesco che lo sentì suonare quello stesso Notturno su un piano trovato fra le macerie.
Il 23 settembre 1939 Wladyslaw Szpilman, un giovane pianista di Varsavia, suonò il notturno in C diesis minore di Chopin per la radio locale, mentre le bombe tedesche cadevano sulla città. Il rumore era così forte da impedirgli di udire il suono del suo stesso piano. Fu l'ultima trasmissione dal vivo in onda da Varsavia. Più tardi, quello stesso giorno, un ordigno tedesco distrusse la centrale elettrica e la stazione radio polacca fu ridotta al silenzio.
La guerra precipitò Varsavia nell'orrore feroce dell'occupazione. Rinchiusi nel ghetto e assediati dalla fame e dalle malattie, gli ebrei furono a poco a poco decimati. Agghiacciato testimone degli eventi che porteranno alla rivolta e all'evacuazione della città, Szpilman vide morire molti dei suoi amici e la sua intera famiglia, riuscendo miracolosamente a sopravvivere tra le rovine della sua amata Varsavia.
Il pianista è allo stesso tempo la storia straordinaria della tenacia di un uomo di fronte alla morte e un documento della misteriosa, possibile "umanità" degli esseri umani: la vita di Szpilman fu salvata da un ufficiale tedesco che gli sentì suonare quello stesso Notturno di Chopin su un piano trovato tra le macerie. Subito dopo la guerra, Szpilman scrisse queste memorie vivide e terribili. Le autorità comuniste polacche, per calcolo politico, le censurarono, bloccandone la circolazione. Oggi, a distanza di oltre cinquant'anni, esse vengono ripubblicate e rese per la prima volta accessibili al pubblico internazionale. A corredo del tenerissimo e implacabile testo originale,nell'edizione attuale de Il pianista, lettori e lettrici troveranno un altro documento che non ha bisogno di commenti: alcuni frammenti dell'accorato diario di guerra di Wilm Hosenfeld,l'ufficiale tedesco che salvò la vita a Szpilman, pagando questo suo atto di temeraria umanità con la prigionia nei campi POW russi e con la morte. Ritrovato alcuni anni fa dai suoi eredi, questo diario è un j'accuse irrevocabile e insieme struggente.
Il pianista è un testo splendido e fortissimo, da leggere e far leggere, per non dimenticare e non ripetere le brutture che passano sotto il nome di Storia. Prezioso come Il diario di Anna Frank o le memorie per immagini di Charlotte Salomon, Il pianista si candida a essere il libro più necessario di questa fine millennio.
Wladyslaw Szpilman, nato a Varsavia nel 1911, ha studiato pianoforte presso il Conservatorio della sua città e presso l'Accademia delle Arti di Berlino. Dal 1945 al 1963 è stato Direttore dei programmi musicali alla Radio polacca, senza però mai interrompere la sua attività di pianista concertista e di compositore.
La leggenda del pianista
The Pianist si presenta alla stampa
a cura del nostro inviato Robert Bernocchi
- The Pianist
- Roman Polanski
The Pianist
The Pianist, il nuovo film di Roman Polanski, le cui riprese inizieranno il 19 febbraio, racconta la storia del musicista Wladislaw Szpilman (morto il sei luglio del 2000), vissuto nel ghetto di Varsavia per tutto il periodo della guerra, nascondendosi come meglio poteva ai nazisti. Tra umiliazioni e sofferenze, sarà la musica (letteralmente visto che sarà salvato da un ufficiale tedesco amante dell'arte) a salvarlo dai campi di concentramento e dall'orrore dell'Olocausto. Nel 1946, appena finita la guerra, Szpilman scive la sua autobiografia, The Pianist (titolo inglese, quello originale era Morte di una città), ma la tiene nascosta fino a pochi anni fa, quando il libro viene pubblicato grazie alla tenacia del figlio del protagonista, che riesce a convincere il suo scettico genitore a far conoscere al mondo la sua esperienza. Roman Polanski, anche lui vissuto nel ghetto in quel periodo, quando era bambino, si assume la responsabilità di portare avanti questo progetto. Le riprese dureranno (salvo ritardi, tutt'altro che da escludere) 84 giorni e saranno effettuate tra Berlino e Varsavia. Il film avrà un budget di 38 milioni di euro (più di 70 miliardi di lire), una cifra notevole, considerando che i capitali sono interamente europei. Il film è prodotto da quattro Paesi europei. La Polonia, terra natale del regista e luogo di azione dei fatti narrati. La Francia, la nazione che ha adottato Polanski, che ormai vive stabilmente a Parigi. L'Inghilterra, Paese dal quale provengono molti membri della troupe. E la Germania, che ha offerto anche i suoi teatri di posa per le riprese. Considerato che il film verrà ultimato completamente tra l'autunno e l'inverno prossimi, non sembra improbabile che The Pianist possa essere il titolo d'apertura del Festival di Berlino 2002.
Roman Polanski
Ci tengo a dire che questo film non sarà un'autobiografia. Sicuramente la mia triste esperienza nel ghetto di Varsavia mi permetterà di essere molto accurato. Ma io voglio raccontare la storia di Wladislaw Szpilman, non la mia.
Ho aspettato molto per fare un film sulla seconda guerra mondiale. Quando mi hanno proposto di realizzare Schindler's List, non mi sono sentito proprio di trattare questo tema. Finalmente, quando è uscito il libro di Szpilman, ho trovato il materiale che stavo cercando. E' un'opera bellissima, perché riesce a descrivere la tragedia con un grande senso dell'ottimismo. E' raccontata tutta in prima persona, un particolare che rimarrà anche nel mio film.
Il ruolo della musica in questo film sarà molto importante. Szpilman è infatti scampato alla morte grazie alla forza della sua arte (la frase è da intendersi in senso letterale, N.d.R.). Saranno presenti molti brani di Chopin, che era il compositore preferito del nostro personaggio.
Ho incontrato Szpilman tre volte nella mia vita. L'ho conosciuto dieci anni fa, quando sono tornato a visitare la Polonia. E poi l'ho reincontrato a Los Angeles, dove era in tournée con il suo quintetto. Ma allora non ero ancora a conoscenza della sua storia incredibile, che ho scoperto soltanto all'uscita del libro.
Non è più possibile girare interamente il film a Varsavia. E' molto difficile trovare ancora palazzi dell'epoca, sia perché la città durante la seconda guerra mondiale subì gravi danni sia perché sono stati costruiti molti nuovi edifici, soprattutto negli ultimi cinque anni. Quando abbiamo dovuto trovare delle locations, abbiamo pensato all'ex Germania dell'Est. Ma anche lì non si sono potuti trovare i luoghi adeguati. E quindi ci siamo decisi a ricostruire gli ambienti in un teatro di posa.
All'inizio avevo pensato di trovare degli interpreti non professionisti. Non volevo avere a che fare con delle star o comunque con dei volti noti al pubblico. Abbiamo quindi deciso di pubblicare un normale annuncio di ricerca del personale sul Guardian. Pensavamo che la cosa sarebbe potuta passare sotto silenzio, ma non avevamo fatto i conti con Internet. In breve, la notizia si è diffusa in tutto il mondo. C'erano persone che arrivavano dal Canada e da Israele. Alla fine si sono presentati 1400 aspiranti, tra i quali anche delle donne e degli uomini di colore che pretendevano di fare il provino. Ne abbiamo selezionato una trentina, ma nessuno di loro mi ha soddisfatto completamente.
Quando ho deciso di trovare un attore professionista, ho cercato qualcuno che avesse il fisico giusto. La scelta migliore che potessi fare è stata proprio quella di assumere Adrien Brody. Nonostante fosse impegnato sul set di un altro film, mi mandava spesso delle registrazioni con le prove che faceva per il ruolo.
Io non mi preoccupo per il fatto che il cast del film sia molto giovane e non abbia vissuto personalmente gli orrori della seconda guerra mondiale. D'altronde, cosa dovrebbe fare allora chi prepara un film su Gesù Cristo o su Napoleone? I miei attori sono delle persone intelligenti. Faranno sicuramente delle ricerche accurate per documentarsi.
Adrien Brody è l'unico rappresentante degli Stati Uniti presente in The Pianist. Addirittura, non abbiamo neanche ottenuto dei finanziamenti americani. Il film è quindi una grande coproduzione europea che costerà 38 milioni di euro (più di 70 miliardi di lire, N.d.R.). Lo gireremo comunque in inglese, perché è la lingua cinematografica per eccellenza. Non avremmo potuto fare altrimenti, perché in caso contrario avremmo avuto un budget molto inferiore, in quanto il film sarebbe stato molto difficile da vendere.
Io preferisco non dare un giudizio su film come La vita è bella o Train de Vie. E non perché io abbia delle critiche da rivolgere a queste pellicole, ma perché in generale non amo parlare dei film dei miei colleghi con i giornalisti. D'altronde, io non sono un critico. Comunque, anche se i due film trattano della tragedia dell'Olocausto, non mi influenzeranno, perché io non mi baso mai sulle esperienze degli altri per realizzare le mie opere.
Caltanet Cinema
La republica
GIOVEDI
22 MAGGIO 1999 Cultura 41
INTERVISTA A WLADYSLAW SZPILMAN
di BENEDETTA CRAVERI
L'ultimo concerto di radio Varsavia
Un musicista ebreo, oggi novantenne, alle prese con i ricordi di un passato terribile
Varsavia
Il 23 settembre 1939, Wladyslaw Szpilman, un pianista ebreo di ventotto anni, eseguiva, con il notturno in C diesis minore di Chopin, l'ultimo concerto dal vivo trasmesso dalla radio di Varsavia, poche ore prima che una bomba tedesca ne distruggesse gli impianti. Cinque giorni dopo, nonostante una resistenza accanita, 50.000 morti e un quarto degli edifici distrutti, la città veniva occupata dai soldati di Hitler. Ma nel 1945, finita la guerra, scampato miracolosamente al genocidio, Szpilman riprendeva il suo lavoro alla radio, assumeva la direzione dei programmi musicali, proseguiva la sua carriera concertistica compiendo numerose tournées europee e diventava famoso anche come compositore di musica leggera. Niente di più popolare in Polonia della sua celebre canzone, Czerwony autobus, l'autobus rosso, che riusciva, in piena dominazione sovietica, a sprizzare ottimismo e allegria. Una moglie, due figli, una bella casa venivano a coronare nella vita privata il suo talento di musicista e la sua capacità di sapersi adattare. Szpilman non esita oggi a dichiarare di essersi sempre disinteressato della politica e di avere potuto conservare il suo incarico alla radio facendo più di una concessione al regime comunista.
Ma se oggi ci interessiamo a questo vecchio signore quasi novantenne non è per la lunga stagione dei suoi successi musicali, ma per i cinque anni e due mesi dell'occupazione nazista durante i quali, strappato dal suo pianoforte, Szpilman era stato confrontato alle prove più atroci. Vale a dire, l'internamento nel ghetto, la deportazione di tutta la sua famiglia a Treblinka, la fuga dal ghetto e la vita clandestina, mentre i tedeschi avevano ragione prima dell'insurrezione ebraica e poi di quella ariana, riducendo Varsavia a un ammasso di rovine. E ci interessiamo a lui soprattutto perché, subito dopo la guerra, egli ha raccontato questo suo viaggio nell'orrore in un libro, un terribile libro di memorie, Il pianista (Baldini e Castoldi, pagg. 288, lire 28.000), riscoperto a più di mezzo secolo dalla sua prima pubblicazione, tradotto l'anno scorso, con grande successo, in Germania, e ora pubblicato in Inghilterra e in Italia.
Eccomi dunque in un bel salotto borghese di una casa immersa nel verde, accolta da un signore dall'aspetto sorprendentemente giovanile, elegante, cortese, vivacissimo. Un signore che ha il gusto della conversazione e parla alla velocità del vento, volando da un argomento all'altro - la musica, i viaggi, gli incontri -, ma che evita accuratamente di rispondere alla maggior parte delle mie domande. E le poche dichiarazioni che ottengo sembrano ignorare tutte le cautele che accompagnano solitamente qualsiasi discorso sulla tragedia dell'Olocausto.
"Non rinnego affatto le mie origini ebraiche, mi dice Szpilman, ma non mi sono mai sentito ebreo. Mi sono sempre e solo sentito polacco. La mia famiglia era completamente assimilata, i miei genitori - mio padre era violinista, mia madre pianista - ci avevano dato nomi polacchi, ci parlavano in polacco, non erano religiosi e a casa avevamo adottato il calendario delle feste cattoliche. I nostri amici erano sia ebrei che ariani e non prestavamo alcuna attenzione alla loro differenza. Certo, ogni tanto, la vita pratica ci ricordava la nostra origine: una delle mie sorelle, ad esempio, aveva studiato legge e, in teoria, come ebrea, non aveva diritto a diventare avvocato, ma in questo, come in altri casi, bastava una buona mancia per risolvere il problema". Chiedo allora al mio interlocutore se l'esperienza del ghetto, della persecuzione nazista, della uccisione della sua famiglia non l'abbiano cambiato, non gli abbiano dato un senso di maggiore appartenenza al mondo ebraico, ma la risposta è netta. "No, la tragedia non mi ha cambiato, non mi sento più ebreo di prima, continuo a sentirmi solo polacco e adoro ascoltare i discorsi del Papa, anche se ora provo pena a vederlo così stanco e malato".
Decisa a non darmi per vinta, domando a Szpilman se la claustrazione artificiale del Ghetto non avesse portato a una scoperta reciproca e a una nuova forma di solidarietà. Anche questa volta Szpilman risponde senza esitare: "Non c'erano rapporti tra i diversi gruppi ebraici confluiti nel ghetto, esattamente come non c'erano stati prima della sua costituzione, e la guerra psicologica dei tedeschi con il suo crescendo quotidiano di terrore puntava perversamente a dividere le sue vittime e non a renderle solidali". Provo ancora, tra una divagazione e l'altra, a riportare Szpilman al suo passato. Nel suo libro, gli dico, lei riferisce un dialogo molto significativo fra suo padre e un conoscente poco prima di salire sul treno che li condurrà a Treblinka. Il conoscente auspica che gli ebrei trovino il coraggio di insorgere e di morire con onore e suo padre gli risponde con un sorriso mite "non siamo eroi, siamo persone assolutamente normali, ed è proprio per questo che preferiamo attaccarci a quel dieci per cento di possibilità che abbiamo di vivere!". Mi sembra invece chiaro che, dopo la deportazione della sua famiglia, lei abbia scelto la via della ribellione, introducendo nel ghetto delle munizioni per armare la resistenza.
"E' vero, mi risponde Szpilman, ho trasportato qualche munizione, ma sono fuggito dal ghetto prima dell'insurrezione e quindi non posso dire come mi sarei comportato". E il tema dolente dell'antisemitismo polacco? "Per quel che mi riguarda, devo il fatto di essermi salvato all'aiuto datomi da dei polacchi che si dichiaravano antisemiti, da un ebreo collaborazionista e da un ufficiale tedesco". Davanti a tanto ecumenismo, tento un' ultima domanda: davvero, non prova rancore per quello che le è successo? "No, non provo rancore. Non ho mai smesso di provare disperazione per l'assassinio della mia famiglia e so che sono i tedeschi a esserne colpevoli, ma molto presto ho perdonato anche i tedeschi. I mascalzoni sono dappertutto".
Rifiuto delle ideologie, sincerità, minimizzazione di tutti i valori, gusto della provocazione, strenua autodifesa attraverso la tecnica dell'indifferenza, o semplice desiderio di oblio di un passato atroce e lontano? Mi accomiato da Szpilman senza avere avuto l'intervista che speravo, ma avendo, forse, capito meglio l'originalità e l'importanza che il suo libro ha nel pur amplissimo panorama delle memorie giunte fino a noi sul ghetto di Varsavia. La forza della sua testimonianza nasce proprio dalla sua oggettività, dalla sua non appartenenza, dal suo non interrogarsi davanti all'orrore.
Può essere utile, a questo proposito, confrontare Il pianista con Du Fond de l'abime, il diario del ghetto di Varsavia di Hillel Seidman, apparso nel 1946 in ebraico, nel 1947 in yiddish, e tradotto solo da qualche mese in Francia (Plon, pagg. 778, 195 Fr.). Nato in una famiglia profondamente religiosa, Seidman militava nei ranghi del partito ortodosso Aguda e nel 1937 era diventato direttore degli archivi della comunità ebraica di Varsavia. Il suo diario prende l'avvio nel luglio del 1942, alla vigilia della grande deportazione che nello spazio di qualche settimana porterà alla eliminazione di 300.000 ebrei. Davanti alla "soluzione finale", Seidman vuole registrare, giorno per giorno, le vicende della comunità prima che scompaia, perché ne resti testimonianza al mondo. E si chiede, con angoscia teologica, come sia possibile che un pugno di nazisti stia per cancellare dalla faccia della terra la più grande comunità ebraica d'Europa, e come questo avvenga nell'indifferenza generale della chiesa cattolica e dei paesi liberi. Forse tutto questo è possibile perché al di là del concepibile e perché niente nella religione e nella storia del popolo ebreo lo aveva preparato a fronteggiare una simile catastrofe. E senza mai smettere per un momento di prodigarsi per la comunità e provvedere a salvarne gli archivi, Seidman non si stanca, pagina dopo pagina, di farsi portavoce di una tragedia collettiva, di accusare, denunciare, interrogare i testi sacri e invocare la vendetta di Dio.
Szpilman, invece, non prega, non giudica, non inveisce, si limita a raccontare ciò che gli è successo: è una cronaca che basta a se stessa e non ha bisogno di commenti. Ma nessuno, leggendo queste pagine, potrà mai dimenticare il piccolo contrabbandiere intrappolato in un passaggio del muro del ghetto troppo stretto e a cui un soldato tedesco spezza a calci la schiena.
Almeno una volta, però, Seidman e Szpilman sono stati testimoni dello stesso episodio ed è interessante metterli a confronto. Entrambi raccontano la storia di Janusz Korczak, letterato, pedagogo, filantropo (a cui Wajda avrebbe poi dedicato un celebre film), che pur potendosi salvare aveva voluto seguire nel ghetto i bambini ebrei dell'orfanotrofio da lui fondato e di lì accompagnarli a Treblinka. Entrambi descrivono in modo commovente la scena terribile del piccolo drappello di bambini denutriti che seguono fiduciosi il "Vecchio dottore" verso il loro destino di morte. Ma mentre Seidman mostra i bambini sfilare in silenzio con il presagio della fine dipinto sul volto e conclude con un'immagine religiosa - "il nemico spietato ha vinto l'espressione autentica del sacrificio d'Israele, che è oggi incarnato da Janusz Korczak. La Bestia ha sconfitto l'Uomo" - Szpilman ci afferra alla gola con la semplice, inimmaginabile descrizione di ciò che si è svolto sotto i suoi occhi e dove il Male, non per questo meno spaventoso, è ridotto a pura schizofrenia. "La piccola colonna, egli scrive, era guidata da una SS che amava i bambini come solo li sanno amare i tedeschi che li amano perfino quando li stanno per mandare all'altro mondo. Questi si prese di una particolare simpatia per un ragazzo dodicenne, un violinista che teneva il proprio strumento sotto il braccio. L'SS gli disse di mettersi in testa alla colonna di bambini e di suonare... e così si avviarono".
Se Szpilman non crede al Dio d'Israele e non si sente partecipe di un destino collettivo, rivela, però, nel suo libro, di avere provato almeno per la sua famiglia un sentimento di dedizione totale. E uno dei momenti più commoventi del libro è certamente quello in cui il padre, in attesa di salire con la moglie e gli altri tre figli sul treno per Treblinka, divide con un coltellino, in sei pezzettini, un piccolo créme caramel, e li distribuisce per consumare tutti insieme un ultimo, rituale, pasto familiare. A questo sentimento, tuttavia, il vecchio musicista continua ad essere fedele. Così fedele dal lasciarsi sfuggire, al momento di salutarci, l'unica cosa che non avrei mai osato chiedergli: "Rimpiango di essermi salvato e di non essere morto con la mia famiglia".
LIBERAZIONE
IL PIANISTA di Wladyslaw Szpilman
Il 23 settembre del 1939, mentre le bombe tedesche cadevano su Varsavia, un giovane pianista suonava il "Notturno" in C diesis minore di Chopin alla radio.
Quel "Notturno" gli salvo la vita. Fra le macerie del ghetto lo ascolto infatti un ufficiale tedesco che decise di risparmiarlo dalla morte. Questo libro sono le sue memorie, le memorie di un uomo che visto uccidere intorno a se decine di amici e familiari. A corredo del romanzo, un documento impressionante: le pagine di diario di quell´ufficiale delle SS, Wilm Hosenfeld, in cui racconta dei suoi incancellabili rimorsi.
25.04.1999
Bella
Una vita salvata dal "Notturno" di Chopin
Diario del musicista che suonò alla radio, mentre i nazisti aggredivano Varsavia. Lo ascoltò un ufficiale tedesco che...
Il pianista di Wladyslaw Szpilman, Baldiní & Castoldí, 28 mila lire
E un libro di memorie. La straordinaria testimonianza di un sopravvissuto alla furia nazista nella Polonia degli anni '39-'45. Ma avvince e commuove come un romanzo, anzi di più. Perché i sentimenti sgorgano di pagina in pagina autentici, diretti. Szpilman, nato a Varsavia nel 1911, ha studiato pianoforte presso il Conservatorio della sua città e presso l'Accademia delle Arti di Berlino. Il 23 settembre 1939, ventottenne, suonò il Notturno in C diessis minore di Chopin per un'emittente radiofonica di Varsavia. Fu l'ultima trasmissione dìretta dalla capitale polacca, mentre le bombe tedesche cadevano sulla città. Il boato era così assordante da impedirglì di sentire il suono emesso dal suo stesso piano. Szpilman vide morire la sua famiglia, i suoi cari, l'intera Varsavia. Braccato nel ghetto ebraica si salvò per un soffio, grazie a un ufficiale tedesco, Wílm Hosenfeld, che aveva ascoltato alla radio il "suo" Notturno. Hosenfeld, di cui viene pubblicato a margine il toccante diario, pagò questo suo gesto dì umanità con la prigionia e la morte.
SOPRATUTTO
Il gazettino
COSI è LA VITA
Storia vera del virtuoso polacco Wladystaw Szpilman, Ilpianista (Baldini & Castoldì) non è soltanto il dettaglìato resoconto della sua vita ma è (come fu il diario di Anna Frank) un documento toccante di uno dei periodi più bui dei nostro secolo.
09.07.1999
FAMIGLIA CRISTIANA
LA BIBLIOTECA Di FAMIGLIA
a cura di Giuseppe Barígazzi
L´EBREO SFUGGE ALL´OLOCAUSTO GRAZIE ALL'UFFICIALE TEDESCO
La lotta di un pianista della Radio polacca per sottrarsi a un destino di rnorte è al centro di questo intenso racconto-testitnonianza.
WladysIaw Szpilman
Il pianista - Baldini e Castoldi,
pagg. 288, lire 28.000
Chissà mai che un domani, nel Viale dei Giusti lungo il quale in Israele sì pianta un albero per ognì nonebreo che ha salvato una vita dall'Olocausto, non capiti di leggere anche il nome di Wilm Hosenfeld. Ossia, il capitano dell'esercito tedesco che, in una Varsavia piena di orrorí, non ha temuto di giocarsi la vita per testimoniare che l'uomo può restare uomo.
Certo, per un risvolto di copertina fa assai più effetto dire che, nel caso di un pianista e compositore di fama come Wladyslaw Szpilman (con il violinista Bronisla\v Gimpel ha creato l'eccellente Warsaw Piano Quintet), la sua salvezza da parte di Hosenfeld è attribuibíle al magico suono di un Notturno di Chopin: ma basta leggere attentamente sia la testimonianza dello stesso Szpilman in questo intenso e drammatico racconto, sia gli stralci dello struggente diarìo dell'ufficiale tedesco qui riportati in appendice, per rendersi conto che a dettare certi comportamenti concorrono pìù alte ragìoni. Che nel caso di Hosenfeld si possono individuare in una fede cattolica vissuta sino alla testimonianza estrema della propria morte in gulag sovieticì.
Tutto ciò nel Pianísta è però solo il punto di approdo: l'intensissimo momento che ridona al lettore un contatto con la capacità dell'uomo di essere uomo, dopo tante pagine in cui ha incontrato esseri che, in una Varsavia invasa, praticavano la brutalità e la violenza con la gratuità dell'insensato divertimento: solo perché l'altro era ebreo.
Un racconto tesissimo, quello di Szpilman, ricco anche di scene a un tempo terribili e tenerissime - come la storia di Janusz Korczak, il maestro che decide di morire insieme con i suoi orfanellì , che accompagna il lettore nei momenti bui della sopravvivenza, quando viltà e generosità defl'uomo verso il suo simile si intrecciano quasi incomprensibilmente.
Un racconto-testímonianza: la strenua lotta di un uomo, pianista defia Radio polacca, per sottrarsi a un destino di morte che lo sfiora incontinuazione sotto la forma delle pallottole, della fame, delle malattie e delle deportwaoni che portano a Treblinka o abbandonano a putrefarsi in una strada cittadína la sua famiglia e i tanti amici; dentro il ghetto di Varsavia e in mezzo alle sue fumanti macerie, dopo la distruzione punitiva per la sua ribellione armata.
Un racconto scritto a caldo, eppure con tono dìstaccato, quasi oggettivo. Per molti aspetti scomodo se, appena pubblicato nel 1946, l'autorità comunista lo toglie dalla circolazione. Una cronaca che, oltre mezzo secolo più tardì, conserva intatta la forza di incidere sulle nostre coscienze.
Ermanno Paccagnini
27-06-1999
CORRIERE DELLA SERA
ELZEVIRO Esce il díarío del pianista
Szpilman, le memorie dall´incubo del ghetto
di MARIO ANDREA RIGONI
E´noto che, subito dopo la guerra, Arnold Schönberg ricevette nel suo esilio californiano la visita di uno dei pochi ebrei superstiti del ghetto di Varsavia, che era riuscito a salvarsi nascondendosi nelle fogne della citta devastata. L'impressione che, Schönberg ebbe dal racconto del suo correligionario fu tale che si mise subito a comporre, e in .pochì gìorni terminò, un intenso e potente oratorio nel quale si valse opportunamente della tecníca dell'espressionismo dodecafonico per evocare e denunciare quelle terrorizzánti vícendé: I1 pezzo, per voce recitante e orchestra, su testo inglese. si intitolo,A survivor from Warsaw (op.46) e divenne giustamente celebre.
In quegli stessi anni affidò a un diario il ricordo di quelle stesse vicende, ma vissute in prima persona, proprio un musicista polacco, Wladyslaw Szpilman, anche lui ebreo e anche lui compositore, che ancora vive a Varsavia, dopo aver diretto per parecchi anni i programmi musicali della Radio polacca e aver svolto una lunga attìvità concertistica. Szpìlman, in giovinezza, aveva studiato pianoforte con Arthur Schnabel e composizione con Franz Schreker ed era tornato in patria nel 1933. all'avvento del nazismo. Ma durante la guerra dovette guadagnarsi da vivere, finché fu possíbile, suonando nei caffè dei ghetto di Varsavia. Quando la situazione precipitò e incominciarono le retate degli ebrei, Szpilman, persa tutta la sua farnìglia (i genitori, due soreffe. un fratello), fuggì dal ghetto, occultandosi per lunghissimo tempo in anfratti, per lo più solai eli edifici della capitale in rovina, sempre minacciato o di essere scoperto o di morire di fame.
Il clima di terrore che regnava sotto forma di normalità nel ghetto, dove non solo la libertà personale ma la vìta stessa non valeva nulla, puo essere evocato da questo passo dei diarìo, che esemplifica anche lo stile di Szpìlman, tanto più impressionante quanto più sobrio esso appare: «Un ragazzo di una decina d'anni arrivò dì corsa lungo il marciapiedi. Era pallidissimo e tanto spaventato da dimenticare di togliersi il berretto davanti a un polìziotto tedesco Cile gli si stava avvicinando. il tedesec si fermò. Senza parlare estrasse la plistola, la appoggiò alla tern. pia del ragazzo e fece fuoco. Questi cadde a terra, agitando le braccia, si irrigidì e morì, Lentamente il poliziotto ripose l'arma nella foridína e proseguì. Lo guardai: non aveva lineamenti particolamente crudeli e nemmeno appariva adirato. Era un uomo normale, tranquíllo, che aveva eseguito uno dei suoi tantì irrilevanti doveri quotidianì, per passare subito dopo ad altre più "importanti" faccende».
Un senso di muta desolazíone, di solitudine invincibile e di angoscia disanimata aleggia sulle pagine di questo eliarío, da cui l'umanc, sembra bandito. Fu tuttavia proprio un tedesco, il capi'tano della Wchrmacht Wìlm Hosenfeid, che fornì un aiuto prezioso e decisivo a Szpilman nel quale si era imbattuto una volta che questi era uscito dal suo nascondiglio per andare in cerca di cìbo. L'ufficiale, invece di uccidere Szpilmari, gli chiese di suonare qualcosa (il pianista fece echeggiare tra le macerie le note dei Notturno in do diesis minore di Chopìn) e poi gli procurò dei vitto, una coperta e un pastrano cori cui affrontare l'ultimo durissimo inverno. Con l'arrivo dei russi a Varsavia Szpilman finalmente fu libero, ma solo dopo essere sfuggito alla morte per l'ennesima volta, dato che rischiò di essere scambìato per un tedesco a causa del pastrano militare che indossava.
Lironia, che non di rado suole mescolarsi alla tragcdia, aggiunge altri tocchi crudeli. Da fonti diverse si sa che, catturato dai sovietici negli ultimì giorni di guerra, Hosenfeld morì sette anni più tardi ancora prigioniero a Stalingrado, senza che Szpììman, che ne ignorava anche il nome, potesse dargli il minimo aiuto. Il capitano tedesco fu anzi torturato perché la sua dichiarazione dì aver aiutato un ebreo fu ritenuta dai russi una provocazione particolarmente odiosa. D'altra parte il diario di Szpilman, pubblicato a Varsavia nel 1946 col titolo dì tino dei suoi capitoli, Morte di una città, venne subito sequestrato per ragioni di carattere politico dal governo comunista e da allora fu ristampato per la prima volta soltanto nel 1998 in Inghilterra. Esso viene adesso pubblicato, nell'impeccabile traduzione italiana di Lidia Lax, da Baldinì & Castoidì,.con il fitolo Il pianista (pagine 239, lire 28 000. In appendice, alcunì estratti del diarìo di Hosenfeld e uno scritto del poeta e saggìsta tedesco Wolf Biermann.
29-06-1999
21.1.2003
SZPILMAN ALLE SCOLARESCHE:
«NON SCORDATE L'OLOCAUSTO»
COMO Andrzej Szpilman, figlio dell'autore del libro «Il pianista» (Baldini&Castoldi), da cui Roman Polanski ha tratto un film, è stato ieri a Como per una serie di celebrazioni legate alla giornata della memoria (nella foto William). Dopo un incontro con le scolaresche all'Astoria, ha partecipato ad un dibattito sulla Shoah a Villa Gallia, cui hanno partecipato lo scrittore Nunes e lo storico Cavalleri.
Corriere di Como
In dialogo
La Giornata della Memoria
"Io sono esistito ma nessuno mai racconterà la mia storia"
si legge sul muro di una baracca
nel campo di concentramento di Dachau.
Quell'uomo è stato uno dei sei milioni di ebrei
deportati e uccisi nei campi nazisti.
Uno dei sei milioni di ebrei
che non hanno più un volto,
spariti nelle ceneri dei forni crematori.
Il 27 gennaio in tutta Italia si celebra la Giornata della Memoria
per non dimenticare.
Perché dal ricordo nasca il rifiuto di ogni seme di violenza razziale.
In occasione della Giornata della Memoria "In Dialogo", Acli provinciali,libreria Paoline e Confcooperative, con il patrocinio dell'Amministrazione Provinciale, promuovono tre giorni di iniziative:
28 gennaio 29 gennaio 30 gennaio 2003
ore 8.45
per le scuole prenotate la proiezione del film
"Il Pianista" di Roman Polanski.
Cinema Multisala Astoria
Via xx Settembre, Como
Le proiezioni saranno introdotte da
Andrzej Szpilman, Alessandro Sándor Lukács, Paolo De Benedetti.
28 gennaio ore 18.00
Villa Gallia
Via Borgo Vico, 148 Como
La memoria della Shoah attraverso le testimonianze
Andrzej Szpilman, figlio dellautore del libro "Il Pianista" W. Szpilman ed. Baldini & Castoldi
Bruno Nunes Lopez, scrittore
Giorgio Cavalleri, giornalista e storico
ore 20.00 buffet
28 gennaio ore 21.00
Cinema Astoria Via xx Settembre -Como-
"Il Pianista" di R. Polanski
presentazione di Andrzej Szpilman
tratto dal racconto biografico di Wladyslaw Szpilman.
Ingresso a pagamento
L´Unità
Data 19-07-1999
Testimonianze Wladyslaw Szpilman
Varsavia, il pianista che suonava nel ghetto
ORESTE PIVETTA
Pessima sorte quella toccata a un libro come «Il pianísta» di Wladyslaw Szpilman, cancellatoper cinquant'anni dalla censura, ristampato oggi, rna ugualmente ignorato. Eppure ègiusto quanto ricorda il sottotìtolo: la straordinaria storia di un sopravvissuto. Szpilman, ebreo, è un pianista, è nato a Varsavia nel 1911, ha suonato a Varsavia per tanti anni della sua vita e suonava un Notturno di Chopin alla radio, quando le bombe tedesche che piovevano a grappolísulla capitale polacca interruppero le tra- ,;missioni. Era il 23 settembre 1939 e itedeschi occupando Varsavia piegavano la Polonia, Nessuno però si immagínava quanto sarebbe successo.
Neppure Szpilmancheera ungiovaneattento e ironico. Ciascuno si nascondeva dietro una certezza, prima la qualità combattenti dell'esercito polacco, poi le truppefrancesi . , poi 1 ancora la Marna, ílfiume: «quella classica linea di difesa dove tutto si sarebbe bloccato, come nel contrasto in cui si
avverte l'andamento dinamico nella seconda parte dello Scherzo t . n si . minore di Chopin, un crescendo tempestoso di crome, via via sempre più travolgenti sino all'accordo conclusivo. Non bastò laMarna. Ma un'altra certezza venne in soccorso: «Presto ci lasceranno andare. Basta che
l'America ne sia informata». Szpilman, dopo una sessantina di pagine del suo libro, dovrà invece raccontare diben altri dolori, delghetto, dellapersecuzioneferoce, del tradimento, della spietata concor rei za per un tozzo di pane o per una patata, della deportazione, dei morti, della crudeltà nazista, della rivolta. Szpilman dovrà raccontare, dopo qelli dell´invasione, i giorni terribli del ghetto. Il tono della narrazione dovra mutare. La possibilita dell´ironia bruscamente si esaurisce. Non si puo piu sorridere di un escerito malmesso o delle previsioni di pace e di guerra raccolte attorno ai tavolini di un caffee-concerto. Quando le porte del ghetto verranno chiuse, non restera che lo spazio per una ricerca individuale di salvezza. La testimonianza di Szpilman restitisce quella vicenda nella sua crudezza, in una dimensione di violenza che non da scampo a nessuno, quando il polacco diventa il delatore che ricorre a qualsiasi inganno pur distrappare una benemerenza presso l´ocupante, quando l´ebreo delghetto non si negheràalcun mezzopurdi costruirsi unfantasma di sopravvivenza. Szpílman racconterà queste storie vissute con unaprosa incalzante, senza ombra di retori . ca, senza neppure alcun desiderio di vendetta. Si salverà e a salvarlo sarà un militare tedesco, Wilm HosenfeId, ufficiale della Wehrmacht. Il militare lo scoprì nel covo ricavato da un settotetto. Però non lo denunciò, piuttosto cercò diprocurarglipanee vestiti. Hosenfeld, finita la guerra, verrà rinchiuso in un campo sovietica. Non credettero alla sua dichiarazione d'aver salvato alcuni ebrei. Szpilman non avrebbe potuto aiutarlo, non Conosceva il suo nome: non se lo erafatto dire, temendo una volta catturato di poterlo svelare. Hosenfeld morìrà prigioniero dei russi, lasciando semplicemente un diario. Hosenfeld sarà la causa della censura imposta al libro dalle autorità della Germania dell'Est: era impensabile, e quindi poco educativo, scrivere che anche un tedesco poteva essere buono. Viene incontare, dopo quelli dell'ínvasione, i mente il tedesco di Nuto Revelli nel giorni terribili del ghetto. Il tonodella «Disperso di Marburg», il cavaliere narrazione dovrà mutare. La possibi~ misterioso che malsi ritrova neipanni lità dell'ironia bruscamente si esauri- del nazista. L'íncredulitàè sempre assce, Non si può più sorridere di un saidíffusa...
Nel racconto delle sue peregrinapaceedíguema raccolte attorno ai ta- zioní nel ghetto,fino alla liberazione,volini di un ca è-concerto_ Quando Szpilman ci restituisce un grande afle porte del ~ tto verranno chiuse, fresco, un affresco tenebroso degli uonon regterbeXelospazioper una ricer- míni, delle loro miserie, delle loroforca individuale di salvezza. La testimo- tune, di quegli ebrei rinchiusie tornianza di Szpilman restituisce quella mentati, della loro rivolta. Lafame, la vicenda nella sua crudezza, in una di- sofferenza non migliorano l'uomo così mensione di violenza che non dà come le camereagas non ne nobilitano scampo a nessuno, quando il polacco il carattere. La cronaca quotidiana nel ghetto lo dimostra. Ma sempre ci si può costruire una chance di riscatto e il riscatto, pagato con il sangue, è una rivolta impossibile. In attesa del treno che li condurrà al campo di sterminio, due ebrei, uno dei' quali' iI adre di Szpílman, sifronteggiano. Juna i . nfamia per tutti noi! Permettiamo che ci portino alla morte come pecore al macello ... ». E l'altro: «Guarda, non siamo eroi, siamo persone assolutamente normali». Una risposta a chi invoca un atto di ribellione ma anche alla insostenibile assurdità diquel caso. La tragedia così si . consumasi . noi . n fondo per la maggioranza. I morti saranno milioni. Szpilman, scampato e fortunato, tornerà al pianoforte, suonando alla radio polacca, e ci lascerà questa storia scritta subito alla fine della guerra, quando tutto il passato era ancora i . mmagi . ne viva, quasi temuta. Libro bellissimo e ricchissimo, vivace per quella prosa veloce, colorita, concreta, quasi un romanzo come non èenonpoteva essere.
IL FOGLIO
Data 04-08-1999
Quel Notturno di Chopin che salvò il musicista di Varsavía.
Il 23 settembre del 1939 la radìo di Varsavia, colpita da una granata tedesca, cessa definitivamente le trasmissioni. Wladyslaw Szpilman, pianista, arrangiatore, compositore dí motivi di successo, è tra gli ultirni a lasciare l'edificio. Incomincia per lui, come per tutti gli ebrei di Varsavia, un lungo calvario: le prime vessazioni, lastella di David al braccio, il ghetto. Szpilman é in qualche inodo un privilegiato, perché può sbarcare il lunario esibendosi nei caffè. Suona nel lussuoso locale, dove i suoi compatrioti che arricelliscono con la borsa nera ostentano boriosi la loro opulenza. Suona nel ritrovo degli intellettuali, ingenuaniente convinti che presto la situazione si aggiusterà. Ma quando a notte fbnda rincasa deve stare attento a evitare i cadaveri dei morti di fame e di tilb. Con unasorta <li freddo, implacabile, lucido distacco ripercorre il crescendo dell'orrore. mentre si allunga l'elenco degli aniici inghiottiti nella persecuzione. Intanto tra crescenti violenze, corruzioni e false rassicurazioni si arriva alla liquidazione del ghetto. Gli ainici polacchi di Szpilman riescono a nasconderlo fino a quandosi ritrova faccia a fáccia cori un ufficiale della Wehnìiackit. Che lo ascolta suonare il Notturno in do dicsis minore di Cbopin. Per questo, Szpilman, è vivo. Per questo, Wilm Hosenfeld, il tedesco, è morto. Brani del suo diario sono pubblicati in appendice.
OGGI
Data 03-08-1999
LIBRI
di Alessandra Castlla
Il polacco Wladyslaw Szpilman oggi è un famoso pianista e composìtore, ma la musica per lui e stata piu di una ragione di vita...
Rinchiuso con la famiglia nel ghetto di Varsavia in giovane eta, vide morire amici, parenti e la sua stessanei Ghetto di Varsavía in giovane età, vide morire amici, parenti e li sua stessa cittá sotto il terrore nazista, Come riuscì a salvarsi da una morte certa? Grazie alla musica: rimasto senza casa né cibo tra le macerie, venne scovato dopo mesi di orrore da un ufficiale nazista, che lo salvera grazie a un Notturno di Chopin suonato su un pianoforte scordato! Per cercare di esorcizzare quei lunghi anni d´angoscia, Szpilman scrisse "a caldo" nel 1945, una prima versione dello sconvolgente Il Pianista, che solo oggi il governo polacco gli permesso di pubblicare.
GIORNALE Di SICILIA
Data 08-09-99
WLADYSLAW SZPILMAN
Il pianìsta
Baldini & Castoldi, pagine 240,líre 28.000
(gei) Sono vetitieri, anche se ormai logDri, gi aggettivi usati quando si parla delle iìevocazioni dei nazismo da parte degli ebrei; ma non ne ha bisogno il libro di Szpilman, concertista e compositore, testimone degli stermini nel ghetto di Varsavia, dove vide soccombere i suoi amici e la sua famiglia. In appendice, lepagine dolentidel diario deiVufficiale nazistacpe salvò Szpiìman pagandocon lavita. Se tuttiflUcontro il nazismosvaffissero, Ilpianista-, da solo, basterebbe a testimoniare un infemo le cui ceneri non si sono spente.
LOMBARDIA OGGI
Data 24-10-1999
La storia di Wladyslaw Szpilman, ebreo polacco deportato nel ghetto di Varsavia
Un pianista dal passato
Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi idearono un piano di sterminio che permise , loro di eminare milioni di persone. Questa è storia la perversa e terrible macchinazione di un governo che si credeva ìnvincibìle e superìore a tutto. Il mondo condannò un simile comportamento ma questo non bastò se, successivamente, altri popoli si comportarono proprio come avevano fatto i tedeschi. Basta citare la Cambogia, J'Algeria, la Bosnia e il Kosovo, che è storia di poche settimane fa, con tanto di fosse comu . ni, camere di tortura e migliaia di persone uccise solo perché appartenenti ad un'altra razza.
Per questo libri come Il Pianista di Wladyslaw Szpilman sono sempre attuali, primo perche non si deve dimenticare l'orrore di quegli anni, secondo perché il passato dovrebbe servire da monito anche se purtroppo accade raramente. la cruda testimonìanza dei l'autore che rìporta fedelmente la sua storia, risulta, proprio per lo stile rigoroso ma spoglio e distaccato,, ancora più impressìonante.
Szipilman, direttore dei programmi musicali della radio polacca, concertista e composItore, era all'alba della sua s,arriera quando la Germania
invase la Polonia. Egli era ebreo e cbn tutti gli altri ebrei, finì rinchiuso nel ghetto di VarsavíaJ la sua famiglia fu stermin; luitoccò,indiverse cJsaioni di salvarsi, a volte in maniera rocambolesca, altre éon la sola forza della disperazione che lo, aiutò a sopravvivere in una Varsavia diventata una città fantasma.
In quegli anni passarono davanti ai suoi occhi scene crudeli, uccisioni efferate, crimini odiosi. Egli, abbruttito dalla vita che era costretto a condurre, racimolando quando era possibile avanzi di cibo, affrontando inverni gelidi, si aMrappò a un filo di speranza convincen osí che i tedeschi non avrebbero vinto, che qualcosa sarebbe cambiato,
A111nizio deí 1945 i tedeschi, ur non ammettendolo, erano alla fine; %rdine però era di distruggere Varsavia prima di abbandonarla. [n quelle ultime settimane di occupazione la città venne incendiata, rasa al suolo e Szipilman, dìsperaIo, senza notizie precise, si rifugiò in un Phalazzo semidistrutto, con la speranza c e nessuno l'avrebbe scovato. Invece un ufficiale tedesco, Wílm Hosenfeld, lo trovò ma la fortuna ancora una volta lo soccorse perché Wìim era un gentiluomo, incapace di credere ai deRti commessi dall'esercito tedesco per il quale aveva sempre provato tanta ammirazione. l'ufficiale aiutò il giovane pianista portandogli da mangiare, delle coperte, esortandolo a tenere duro.
Szipilman si salvò e riprese la sua attività di concertista; Hosenfeld, fatto prigìoniero dai russi, mori in un campo di prigionia. Egli lasciò un diario, poche pagine lucide e struggenti, pubblicate in appenaice al libro, che è una violenta accusa contro i re,ponsabili tedeschi, coivo i dei vergognosi átefi1tí che gettarono nel fango un'intera nazìone.
Nell'opera di Szipilman, nonostante gb orrori descritti, non trapela nessun desiderio dì vendetta; egli scrìsse la sua storia subito dopo la liberazione, ancora in stato di shock a causa di quello che aveva vissuto. Nella narrazione, lucida e particolareggiata, si nota un distacco che contrasta drammaticamente con i fatti narrati. Sembra che Sz ilman racconti ia sua vicenda come se Zse stata quella di un altro, come se avesse vissuto un incubo e non attraversato Vínfemo.
Giulia Baiocchi
L´indice
DEI LIBRI DEL MESE
Data 1.11.99
Questa storia, esempiarmente raccontata con uno stile sobrio e asciutto, che non mandestA né sdegno, né rancore, ma semplicemente denuncia tutto l'orrore della disumana oppressione, era destinata a rimanere sconosciuta per più di cinquant'anní, dopo la pubblicazíone in Polonia dei 1946, subito ritirata dalla circolazione per disposizione governativa. Ha un senso ricostruire la storia della «memoria negata"? Risponde Wolf Bierrnann nell'appendicc al libro, che comprende anche alcune pagine del diario di guerra di Wflm Hoserifeld. Il poeta denuncia questo atto ch censura, spiegandolo con il fatto cAe ncì i1ro sì elencano troppe verità dolorose riguardanti la collaborazíone di russi, polacchi, ucrainí, ìettoni ed ebrei con i nazisti. D'altra parte Andrzej Szpilman scrive dello strettissimo silenzio osservato dal padre in famíglia su queste vicende, a lui note, ma sempre taciute, con reciproco accordo, fra padre e figlio.
SETTE Coriere de la Sierra
Data 16-09-1999
Di Stefano Jesurum
Wladyslaw Szpilman riprese a lavorare subito per radio Varsavia. Alla fine della guerra apri la transmissione con il medesimo pezzo di Chopin che stava eseguendo quell´ultimo giorno, sotto una grandine di bombe tedsche: il Noturno in C diesis minore... Il pianista ovvero la tenacia di un individuo che non vuole soccombere e l´oscura "umanita" degli esseri umani. Gia, perche queste memorie non sarebbero mai esitite se un ufficiale tedesco che io senti interpretare proprio quel Notturno su un pianoforte trovato tra le macerie del ghetto non gli avesse salvato la vita, finendo poi i suoi giorni in un campo di prigionia russo.
VECCHI GUFI L'angolo del gufo
di
Piero Gelli
Contravvenendo a una regola imposta da Oreste del Buono e apprezzata da La Porta,segnalerò oggi un libro edito dalla Baldini&Castoldi, nostro editore. Si tratta però di un documento straordinario, pubblicato in Polonia nel 1945 e rimasto, per una serie di motivi editorialmente inesplicabili, inedito in Italia e, credo, nel mondo occidentale. Il pianista di Wladyslaw Szpilman racconta in prima persona la sua odissea nel ghetto di Varsavia, e,dopo la distruzione, come sia riuscito a sopravvivere dal maggio del '43 al gennaio del '45in una città rasa al suolo sfuggendo alla caccia nazista assidua dei pochi superstiti esalvato infine gli ultimi mesi da un tedesco. Insieme al resoconto dell'autore, il volume contiene in appendice estratti del diario di Wilm Hosenfeld, I'ufficiale della Wehrmacht che aiutò il giovane ebreo e che morì sette anni dopo la fine della guerra prigioniero dei russi. Szpilman, che è oggi in Polonia un compositore assai popolare, ha scritto la prima versione del libro nel 1945, quasi più per s stesso, come terapia di liberazione dagli orrori visti e dalle sofferenze subite, che per testimonianza. E probabilmente la sua attività di musicista di successo ha fatto sì che, dopo la prima pubblicazione, censurata dalle autorità governative comuniste, non si desse molto da fare per ripubblicarlo, per lo meno all'estero, via via che uscivano fuori terribili documenti di altri testimoni, da Sepolti a Varsavia di Emmanuel Ringelblum, pubblicato da Mondadori nel 1962, al diario di Mary Berg (Il ghetto di Varsavia, Einaudi, 1991), per citarne solo due dei più noti anche in Italia. Quello che distingue il testo di Szpilman da altri simili nella descrizione di atrocità concentrazionarie naziste è il tono che l'autore riesce a conservare, una passionalità soffocata dalla necessità di salvarsi, uno sguardo fermo che sembra quasi giustificare gli ebrei complici degli aguzzini e i polacchi che tradivano per consolidato antisemitismo. Di fronte alla morte degli amici, alI'annientamento dell'intera famiglia, alle fughe, alla fame, al freddo e alla solitudine, scoramento e odio cedono al desiderio di sopravvivere e un soffio di vitalità anima le pagine, commuta in avventura un'intollerabile esperienza. Vengono in mente le parole di Giobbe (32,20): "Parlerò dunque e ne avrò sollievo".
Benedetta Craveri sulla Repubblica del 22 aprile ci parla di due libri di autori polacchi sullo sterminio degli ebrei di quel paese ad opera dei nazisti. I libri s'intitolano Il pianista, di Wladyslaw Szpilman, Baldini & Castoldi, e Du fond de l'abime, di Hillel Seidman, Plon.
La Craveri si stupisce per il distacco di Szpilman quando va a intervistarlo. "...se oggi ci interessiamo a questo vecchio signore quasi novantenne non è per la lunga stagione dei suoi successi musicali, ma per i cinque anni e due mesi dell'occupazione nazista durante i quali, strappato dal suo pianoforte, Szpilman era stato confrontato alle prove più atroci...non prega, non giudica, non inveisce, si limita a raccontare ciò che gli è successo......" Ma nel momento del commiato dalla intervistatrice le confessa: "Rimpiango di essermi salvato e di non essere morto con la mia famiglia".
Diverso per la Craveri il tono del racconto nel secondo libro citato, quello di Seidman. "...Il suo diario prende l'avvio nel luglio del 1942, alla vigilia della grande deportazione che nello spazio di qualche settimana porterà alla eliminazione di 300.000 ebrei. Davanti alla 'soluzione finale', Seidman vuole registrare, giorno per giorno, le vicende della comunità prima che scompaia, perché ne resti testimonianza nel mondo. E si chiede, con angoscia teologica, come sia possibile che un pugno di nazisti stia per cancellare dalla faccia della terra la più grande comunità ebraica d'Europa, e come questo avvenga nell'indifferenza generale della chiesa cattolica e dei paesi liberi..."
Famiglia Cristiana n.17 del 30-4-2000:
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OLOCAUSTO - Il regista Roman Polanski gira un film sulla vita dellíebreo polacco Wladyslaw Szpilman
Il pianista del Ghetto
di FULVIO SCAGLIONE - foto di Woytek Laski
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La fama, líarrivo dei nazisti, la fuga, il rifugio in cui rimase 13 mesi, líaiuto di un ufficiale tedesco. Il tutto in un libro, che il regime comunista proibÏ.
Varsavia, aprile
Le prime riprese saranno subito dopo líestate. Intanto, molte ore su questo divano di vellutino rosso dove adesso sto seduto io, senza muovermi troppo perchÈ gli operai líhanno rovinato e non Ë pi robusto come prima. E bisognerebbe vederli, questi due intellettuali ebrei: il "giovane" (Ë del 1933) Roman Polanski, regista famoso che parla pochissimo del lager nazista di Cracovia, in cui finÏ quando aveva 8 anni, con il quasi novantenne Wladyslaw Szpilman, che deportato non fu ma ha raccontato líorrore con pagine che bucano líanima. ´Eh, lo stalinismoª, dice adesso Szpilman. ´Un paradiso, dopo quello che avevo passato. Come artista impiegato alla Radio di Stato, facevo qualche ora di coda e avevo il pane. Il pane e basta, eh... Ma per mangiarlo dovevo uscire, alla radio non potevo: tecnici e operai non avevano neanche quello, stavano male a vedermiª.
Szpilman nella sua casa.
Dopo líestate, forte di un accordo da 20 milioni di dollari con il produttore francese Robert Benmussa e con Canal Plus, Polanski comincer¦ a dare immagini alla storia di Szpilman. Impresa generosa, forse impossibile. Come rendere, ad esempio, quella laicissima (´Sono un ebreo agnostico. Non riesco a credere in Dio dopo aver visto i bambini massacrati sbattendo loro la testa contro líasfalto. Ma cíË una persona in cui credo: il Papa, Ë straordinarioª) ultima cena in cui i sei della famiglia Szpilman, gi¦ radunati sulla Umschlagplatz da cui devono partire verso Treblinka, si dividono una caramella? O i diversi echi delle note del Notturno in Do minore che il pianista Szpilman suona tre volte in sette anni: alla radio mentre le prime bombe cadono su Varsavia (1939), in un palazzo distrutto per il tedesco che lo ha scoperto (1944), alla radio risorta dalla guerra (1946), dove Szpilman dorme sotto il pianoforte?
Ma Ë il rischio delle storie troppo grandi per un popolo, figuriamoci per un film. O per un solo uomo: ´Dopo la guerra mi ha salvato Halina, mia moglie. E adesso che sono vecchio, che non posso pi buttarmi nel lavoro e nella musica, sono tornato a combattere con le memorie, con líimmagine di mio fratello Henryk, delle mie sorelle Halina e Regina. Arrivano spesso a farmi visita e io non so, non so...ª.
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Il pianista Wladyslaw Szpilman accanto
ai resti del carcere di Piawak,
dove la Gestapo sterminÚ migliaia di ebrei.
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Nel 1914, con i fratelli Halina,
Regina e Henryk.
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Nella prefazione a Il Ghetto di Varsavia (Giuntina) si legge: ´Essi (un "pugno di ebrei" che si erano nascosti nei sotterranei del Ghetto, ndr) e un paio di fortunati a cui era riuscita la fuga... furono i soli sopravvissuti di oltre mezzo milione di persone...ª. Uno dei due fortunati era Szpilman: ´Con líaltroª, dice, ´scambio qualche lettera ogni tanto. Ci firmiamo "i Robinson Crusoe", ma ho io il record: rimasi nascosto tre giorni pi di luiª.
Nel 1939 Szpilman era un giovane pianista di ottime speranze. Aveva studiato al Conservatorio di Varsavia e allíAccademia musicale di Berlino, suonava nei migliori locali della capitale polacca, si esibiva alla radio. Speranze realizzate dopo la guerra, quando diventa solista (con il violinista Bronislaw Gimpel fonda il prestigioso Quintetto di Varsavia), compositore, autore di pi di 500 canzoni e direttore della sezione musicale della Radio di Stato polacca.
Ma il 29 settembre 1939, quando i tedeschi entrano a Varsavia, Szpilman Ë "solo" un ebreo polacco. E dal 15 novembre 1940, quando chiudono il Ghetto dopo avervi fatto confluire altre centinaia di migliaia di persone, diventa un ebreo polacco che cerca di sopravvivere. Poco, pochissimo di fronte a un progetto sistematico di sterminio: ´Per di pi, líunica cosa che sapevo fare era suonare e un principio per me era tassativo: mai suonare per i nazistiª.
Principio non solo suo. Nella primavera del 1942, quando il fratello Henryk viene arrestato durante una delle cacce allíebreo lanciate nel Ghetto, Wladyslaw va a impetrare piet¦ presso uno dei boss della polizia ebraica che collaborava con i nazisti. Henryk torna libero, ma si scontra con il fratello: ´Diceva che non avrei mai dovuto trattare, che preferiva la deportazione. Aveva un altissimo senso dellíonore, Henryk. Dopo la guerra ho ritrovato quel boss. Nella Polonia comunista era diventato magistrato. Lo denunciai e quando cíincontrammo mi disse: "So che sparge voci false sul mio conto. Vuole che le faccia provare il mio potere di procuratore?". Passarono altri anni, divenne direttore della cinematografia di Stato con il rango di viceministro. Io scrissi una colonna sonora e me lo ritrovai capotavola a una cena di presentazione del film. Stavo per saltargli addosso, quando un amico mi tenne per la giacca, implorandomi di stare calmo. Era lo sceneggiatore Starski, padre di Allan Starski, scenografo di Schindlerís listª.
Szpilman nel cortile della casa dove, nellíinverno del 1944,
incontrÚ il capitano tedesco Wilm Hosenfeld.
Alla Umschlagplatz, dove anche Karol Wojtyla Ë venuto a pregare, Szpilman Ë tornato solo due volte in cinquantíanni. Questa Ë la seconda ed Ë líunico momento in cui líemozione si tramuta in lacrime. ´Quiª, dice davanti al monumento agli ebrei polacchi, ´cíera il cuore del Ghetto. Era pieno di vita, gente, traffici. Ma non ricordo nulla, i nazisti non lasciarono pietra su pietra e tutta Varsavia era in macerieª.
Dalla Umschlagplatz, il 16 agosto 1942, nel lezzo di cadaveri abbandonati al sole, i genitori e i fratelli di Szpilman furono deportati a Treblinka. Henryk e Halina, che non erano nelle liste di deportazione, partono volontari per seguire i genitori. Wladyslaw si salva perchÈ un poliziotto che lo conosce lo mette da parte.
Da quel giorno comincia un gioco a rimpiattino con la morte, che dura fino alla fine della guerra. Szpilman, arruolato nelle squadre destinate al lavoro forzato, per molti mesi scampa alle selezioni e trova anche modo di partecipare alla Resistenza, portando armi nel Ghetto. Poi, nel gennaio del 1943, scappa e, privo di documenti, si affida allíaiuto di un gruppo di amici polacchi. Per anni, il pianista si nasconde e vive del boccone di pane che gli amici (molti dei quali muoiono per mano dei tedeschi) riescono a togliersi di bocca. ´Per quasi 13 mesiª, racconta, ´restai chiuso in una cameretta, in un appartamento disabitato, senza uscire. Bruciavo gli escrementi nella stufa, non potevo fare il minimo rumore per non rivelarmi ai viciniª.
Il pianista con la moglie Halina
subito dopo la guerra.
Scoppia líinsurrezione del Ghetto (19 aprile - 16 maggio 1943), gli ebrei superstiti scelgono di morire con le armi in pugno e tengono in scacco i nazisti. Varsavia brucia, la repressione Ë feroce. Un giorno, nellíinverno 1944, Szpilman incontra quello che lui chiama ´líangeloª. » un ufficiale tedesco, il capitano Wilm Hosenfeld, un ex insegnante che per puro caso lo scopre in una soffitta diroccata. Il capitano non solo non lo arresta, ma lo aiuta, qualche pagnotta e un cappotto, prima di scomparire. Poi Varsavia, il pianista e i polacchi tornano liberi.
Hosenfeld, preso prigioniero dai russi, viene internato in un gulag di Stalingrado, dove muore per le percosse nel 1952. Intanto sua moglie riceve la visita di una serie di sconosciuti polacchi. Tutti hanno avuta salva la vita grazie a suo marito. CíË persino un sacerdote cattolico nella lista di Hosenfeld che, cattolico anche lui, assisteva alla Messa con gli "slavi inferiori" che avrebbe dovuto sterminare.
Gli Szpilman oggi. La signora Ë figlia di Josef Grzecznarowski, dirigente socialista che rimase 13 anni in un carcere zarista e 6 anni prigioniero dei nazisti.
Szpilman, nel 1946, pubblica le sue memorie. Racconta tutto: la polizia ebraica, un tedesco buono, la crudelt¦ spaventosa di ucraini e lituani, il coraggio dellíArmija Krajova (la Resistenza di "destra"), líaiuto dei polacchi. Non basta che Hosenfeld sia descritto come austriaco, per la Polonia stalinista il libro non Ë politicamente corretto ed Ë proibito. » stato ripubblicato solo líanno scorso, in Germania, Usa, Francia: Ë stato giudicato un capolavoro.
Fulvio Scaglione
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